“Alexa, ti piace la Nutella?”: cosa impariamo dal rapporto tra bambini e smart speaker

L’introduzione degli smart speaker in famiglia si accompagna a una redistribuzione delle capacità di azione di tutti gli attori coinvolti. Ma cosa succede alle relazioni genitore-figlio?

Giovanna Mascheroni, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano


Gli smart speakers non sono stati progettati e commercializzati per un pubblico di bambini – almeno fino al lancio del primo Echo Dot Kids Edition negli Stati Uniti nel 2018 e, a partire dal 2021, anche in Europa. Eppure, gli smart speaker sono oggi presenti in molte case e, di conseguenza, nelle vite di molti bambini in età pre-scolare (Rideout & Robb, 2020; Wald et al., 2023; Wang, Luo & Wang, 2023).

In Italia, un’indagine condotta a settembre 2020 su un campione rappresentativo di genitori di almeno un figlio di età pari o inferiore agli 8 anni (Mascheroni e Zaffaroni, 2021) ha rilevato la presenza di smart speakers nel 46% delle famiglie partecipanti: in queste famiglie, un bambino su tre interagisce con lo smart speaker in autonomia, senza interventi da parte dei genitori. Fra i genitori, invece, il 43% dichiara di usare lo smart speaker per raccontare le favole della buona notte ai figli.

Le ricerche sull’interazione fra bambini e smart speakers

Seppur ancora in una fase esplorativa, la ricerca sull’interazione fra bambini e smart speaker nel contesto domestico ha già evidenziato alcuni pattern ricorrenti. Innanzitutto, gli smart speakers sono di solito posizionati in uno spazio comune come il salotto e la cucina, e connotati come medium familiare (Lopatovska et al., 2019). Molti studi rilevano, inoltre, una diminuzione nell’uso rispetto alle prime fasi di addomesticamento, caratterizzate da un effetto novità. Si riscontrano anche alcune differenze generazionali nelle pratiche d’uso: se gli adulti usano Alexa o Google Home soprattutto per l’ascolto di musica, il controllo di dispositivi di domotica, e la ricerca di informazioni, oltre all’ascolto musicale i bambini prediligono pratiche ludiche, come la richiesta di barzellette o la conversazione (Lopatovska et al., 2019; Garg & Sengupta, 2020). Inoltre, i bambini di età inferiore ai sette anni hanno più probabilità di attribuire un’identità umana agli agenti conversazionali (Garg & Sengupta, 2020). Infatti, come teorizzato dagli studiosi di Human Machine Communication (HMC), gli agenti conversazioni sono programmati per entrare nella relazione comunicativa nel ruolo di partner comunicativi (Guzman, 2018, 2019; Guzman & Lewis, 2020)., appunto, i cui tratti umani si manifestano nel genere e nel ruolo sociale: quello di un assistente (Guzman, 2019) o di un servitore (Fortunati et al., 2022). La loro percezione, da parte degli utenti, oscilla fra il polo della macchina o, viceversa, dell’interlocutore quasi-umano, con i bambini più inclini ad aderire all’universo simbolico della simulazione della conversazione umana.

La letteratura ha anche messo a fuoco le possibilità di empowerment dei bambini in età prescolare offerte dall’interazione vocale, che permette ai più piccoli l’accesso diretto a contenuti mediali come canzoni e favole, senza la necessità di digitare su una tastiera (Beneteau et al., 2020). L’introduzione degli smart speakers in famiglia si accompagna, quindi, a una redistribuzione delle capacità di azione di tutti gli attori coinvolti: lo smart speaker, innanzitutto, che acquisisce una certa autonomia nell’esecuzione di compiti, dal controllo delle interfacce domotiche connesse, alla selezione dei contenuti mediali (Mascheroni & Siibak, 2021); i genitori che, se da un lato vedono diminuire la propria capacità di controllo sull’accesso dei più piccoli ai contenuti mediali, dall’altro possono esercitare forme di genitorialità “aumentata” o assistita dallo smart speaker (Beneteau et al., 2020) – usato come mediatore neutrale nei conflitti o rinforzo degli ordini (Wang, Luo & Wang, 2023), ad esempio ricordando ai bambini che è ora di andare a letto, o di spegnere il tablet per andare a giocare al parco; infine i bambini che, come anticipato, possono aggirare le regole sull’uso degli schermi, chiedendo allo smart speaker di accendere la televisione sulla serie preferita.

Bambini e smart speakers in Italia

Come parte del progetto DataChildFutures, finanziato dalla Fondazione Cariplo nell’ambito del Bando Ricerca Sociale 2019, abbiamo condotto una ricerca qualitativa longitudinale nell’arco di 16 mesi che ha coinvolto 20 famiglie con almeno un figlio di età pari o inferiore a 8 anni. Il campione, costruito attraverso un campionamento a scelta ragionata, è vario sotto il profilo sociodemografico, della struttura famigliare (con 4 famiglie di genitori separati, 8 famiglie con figli unici, due famiglie numerose -rispettivamente con 7 e 4 figli), origine etnica, partecipazione religiosa. Fra le famiglie del nostro campione, 13 hanno o hanno avuto uno smart speaker, in particolare: 9 famiglie continuano a usare uno smart speaker; 2 famiglie hanno smesso di usare lo smart speaker per ragioni legate alla privacy, o, come vedremo, per la natura dell’interazione fra il figlio e l’agente conversazionale; infine, in 2 famiglie separate, i bambini hanno accesso a uno smart speaker solo a casa del padre.

Anche nel nostro campione, le pratiche d’uso rientrano nelle categorie dell’intrattenimento (musica, favole, barzellette), dell’informazione (notizie, previsioni del tempo, traduzioni dall’inglese o altre informazioni per i compiti scolastici, ecc.), dell’automazione (soprattutto per il controllo delle luci smart). Solitamente, tali pratiche non vanno a sostituire integralmente l’uso di altri media: la pratica dell’ascolto musicale, ad esempio, si lega a diversi dispositivi e piattaforme (smart speaker, tablet, radio, YouTube, Spotify ecc.) a seconda del contesto e del momento della giornata.

Una nuova autonomia per i bambini?

Come già rilevato nelle ricerche condotte negli Stati Uniti, l’interazione con gli assistenti vocali è un’occasione, anche per i bambini in età pre-scolare, di accedere direttamente a contenuti mediali, spesso disattendendo le regole dei genitori. L’accresciuta autonomia raggiunta si traduce, quindi, nel controllo, da parte del bambino, non solo dello smart speaker, ma anche di altri dispositivi connessi, ad esempio la smart TV. Se queste dinamiche riconfigurano le relazioni di potere fra genitori e figli, tuttavia non si traducono automaticamente nella perdita di potere da parte del genitore. Infatti, all’emancipazione del bambino spesso corrisponde un’emancipazione del genitore, che può dedicarsi al lavoro o a faccende domestiche mentre il figlio si intrattiene con le favole raccontate dall’agente conversazionale, come racconta la mamma di un bambino di 4 anni. In tal senso, Alexa e Google incarnano la versione senza schermo delle babysitter digitali come tablet, smartphone e televisione (Elias & Sulkin, 2019; Haddon & Holloway, 2018; Mascheroni e Zaffaroni, 2023; Nikken, 2022). Proprio l’assenza di schermo costituisce, anzi, una motivazione centrale nella scelta di comprare uno smart speaker. Ad esempio, Letizia, mamma separata di un bambino di 6 anni, racconta di aver comprato Alexa per evitare che Ludovico dovesse usare il suo cellulare ogni volta che aveva voglia di ascoltare musica: “L’avevo comprato con molta leggerezza perché pensavo appunto che potesse essere, anche per lui, una cosa comoda perché appunto non doveva accedere al mio cellulare, non doveva… E allora vuoi sentire la musica? La puoi sentire, vuoi sentire la tua musica? La puoi sentire, puoi chiedere, puoi richiedere, puoi fare una ricerca. “Voglio sapere qualcosa”. Allora è più facile”.

In altri casi, invece, l’empowerment guadagnato dal bambino genera conflitti per il controllo dello smart speaker, dove la posta in gioco non è tanto l’affermazione di un’identità autonoma attraverso i propri gusti musicali, quanto la sfida ai genitori e alle norme valoriali del nucleo famigliare. Si tratta di pratiche di “accesso interrotto” (“disrupted access”, Beneteau et al., 2020), come racconta Gabriella, mamma di un bambino di 6 anni: “Io lo avvio ma poi ascoltano tutti, cioè, nel senso che comunque… Poi è un po’ una lotta un po’ con Guido, ogni tanto non vuole ascoltare della musica che noi ascoltiamo… ma anche se gli piace. Un po’, a volte, magari si emoziona troppo e preferisce non ascoltarla in quel momento quella canzone, poi magari la va a ricercare in un secondo momento […] E quindi dice: “Google, basta.” e chiude. Non vi dico le liti!”

Anche i conflitti e le negoziazioni che nascono fra genitori e figli in relazione all’accesso ai media digitali non sono una novità, anzi, hanno accompagnato l’“addomesticamento” di ogni innvazione tecnologica. Caratteristico degli smart speakers, tuttavia, è il fatto che le dinamiche di resistenza alle, e rinegoziazione delle relazioni di potere consolidate avviene sotto forma di interazione comunicativa con lo smart speaker, anziché nella forma più tradizionale di un’interazione comunicativa fra genitori e figli intorno a certi media.

La comunicazione con gli smart speakers

Il tratto distintivo degli smart speakers, e degli agenti conversazionali in generale, è quello di essere forme di “comunicazione artificiale” (Esposito, 2022), vale a dire “media (in parte) automatizzati e (in parte) autonomi che servono da interfacce di (quasi-)comunicazione con gli esseri umani” (Hepp, 2020, p. 1416). Anche se la relazione comunicativa con gli smart speakers tende a diminuire nel tempo – quando svanisce l’effetto novità – le famiglie si trovano a interagire con una voce connotata in termini di genere e programmata per eseguire autonomamente certi compiti, ma anche per rispondere a curiosità e conversare con l’utente.

L’interazione comunicativa con gli smart speakers viene modellata a partire dal processo di attribuzione di senso da parte del partner comunicativo umano. Più precisamente, cruciale a determinare la riuscita o il fallimento dell’atto comunicativo è l’attribuzione di una natura umana o, in alternativa, di una macchina allo smart speaker: da qui, infatti, risulta l’efficacia percepita della risposta comunicativa – vale a dire, quanto lo smart speaker si conforma con le aspettative dell’interlocutore. In linea con le ricerche internazionali, la tendenza ad antropomorfizzare lo smart speaker, e a testare la sua natura, è visibile soprattutto fra i bambini più piccoli. Infatti, i bambini che hanno partecipato alla nostra ricerca chiedono a Alexa se le piace la Nutella (Elisa, 8 anni) o se ha dei genitori (Alessandro, 5 anni). L’attribuzione di caratteristiche antropomorfe e di una personalità proprio è fortemente influenzata dai tratti di genere con cui lo smart speaker è stato programmato. Sia i bambini che i loro genitori riconoscono che Alexa e Google hanno una diversa identità di genere, anche se le interpretazioni di tali identità non sempre coincidono: infatti, se tendenzialmente Alexa è percepita come più simpatica ma anche più intelligente in quanto donna, non manca chi pensa che sia invece Google Home a superare Alexa in intelligenza perché “Google è un maschio, e sa più cose” (Carlotta, 7 anni).

L’antropomorfizzazione dello smart speaker, come anticipato, genera nell’utente aspettative di reciprocità che vengono spesso disattese. Di conseguenza, anche se l’antropomorfizzazione di Alexa o Google è fonte di preoccupazione per qualche genitore, in realtà i bambini finiscono spesso per considerare lo smart speaker “stupido” perché non capisce le loro richieste e non risponde come si aspetterebbero (come un essere umano).

La capacità di azione degli smart speakers

Gli smart speakers non sono solo partner comunicativi: sono pienamente inseriti nelle infrastrutture della datificazione che colonizzano il domestico e il privato (Couldry & Mejias, 2019; Mascheroni & Siibak, 2021). Gli smart speakers introducono un nuovo livello di intermediazione nell’accesso dei contenuti che è fortemente “data-driven”: la selezione algoritmica dei contenuti più adatti ai noi avviene in maniera opaca, nella forma di una risposta vocale: una voce di cui ci fidiamo perché sa cosa ci piace e cosa cerchiamo. La selezione algoritmica dei contenuti altera le dinamiche di potere fra uomo e macchina: come riconoscono molti genitori, infatti, la capacità di scelta risulta ridotta a priori. Durante una delle nostre visite, Petra, mamma di un bambino di 4 anni e di uno di 18 mesi, incoraggia il figlio maggiore a chiedere una storia a Google, per mostrare ai ricercatori la sua autonomia di interazione con lo smart speaker. Quando Google seleziona Rapunzel dalla playlist di favole di Spotify, la mamma commenta che, dal momento che il bambino ha spesso chiesto Rapunzel, Google ora propone sempre la stessa favola. L’agency della macchina limita l’agency umana, riducendo una lista di contenuti potenzialmente infinita a un numero ristretto di opzioni selezionate in base alle pratiche d’uso passate, e alle pratiche di chi è classificato come simile.

Conclusioni

In conclusione, se le relazioni genitore-figlio ricalcano modalità già osservate nei processi di addomesticamento dei media digitali (il ricorso, da parte dei genitori a babysitter digitali, o conflitti iniziati dai figli per reclamare autonomia nell’accesso ai media), la capacità di azione degli smart speaker ridefinisce l’agency umana. Questa ridefinizione avviene grazie alla natura degli smart speakers come macchine dalla voce umana: detto altrimenti, il posizionamento nella relazione comunicativa come veri e propri partner comunicativi permette di nascondere, e normalizzare, la sottrazione di agency.

Bibliografia

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Articolo originariamente pubblicato su AgendaDigitale.eu

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